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      Forse avevo udito qualche bisbiglio di quel lontano pensiero al tempo che avevo avvertito la perdita o la mancanza di qualche cosa nella felicità che avevo sperato. Ma quel pensiero sorse ancora come un nuovo rimprovero e un nuovo rimpianto, allorché mi trovai triste e solo al mondo.
      Se in quel tempo mi fossi trovato spesso accanto ad Agnese, avrei forse, nella debolezza della mia desolazione, fatto trasparire questo sentimento. Fu ciò che vagamente temevo quando fui spinto a mettermi in viaggio. Non mi sarei rassegnato a perdere la minima parte del suo affetto di sorella; e, scoperto il mio sentimento, avrei messo fra me e lei una barriera fino allora inesistente.
      Non potevo dimenticare che il sentimento che ora ella aveva per me era effetto della mia libera scelta, anzi opera mia. Se ella m’aveva amato di diverso amore – e a volte pensavo che c’era stato un tempo forse che m’aveva amato di diverso amore – quell’amore era stato da me ripudiato. Ed ora era svanito, certo, perché, da fanciullo, m’ero abituato a pensare a lei come a un’immagine lontana dalle mie aspirazioni. Tutta la mia appassionata tenerezza s’era volta su un altro oggetto; e non avevo fatto ciò che avrei potuto fare. Ciò che Agnese ora rappresentava per me, era stato generato da me e dal suo nobile cuore.
      Nel principio del mutamento che a grado a grado s’operò in me, quando tentai di comprender meglio me stesso e di diventar migliore, scorsi, a traverso un’attesa indefinita, un momento in cui forse avrei potuto sperare di cancellare l’errore di un giorno, ed esser così avventurato da sposare Agnese.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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