Ma, come il tempo passava, l’oscura speranza illanguidiva. Se mai un giorno m’aveva amato, ella non doveva apparirmi che più nobile e sacra, perché aveva ascoltato tutte le mie confidenze, conosciuto gli errori del mio cuore; e s’era sacrificata per esser mia amica e sorella, vincendo su se stessa una grande vittoria. Se non mi aveva amato mai, potevo credere che m’avrebbe amato adesso?
M’ero sentito tanto debole di fronte alla sua costanza e alla sua forza! E il mio sentimento di debolezza era ora più profondo. Checché potessi essere stato per lei, e lei per me, se ero stato più degno di lei lungo tempo prima, non lo ero più. Quel tempo era passato. L’avevo lasciato passare, e l’avevo meritamente perduta.
Soffrivo molto in questi conflitti, che mi colmavan d’affanni e di rimorsi; ma era pur vero che provavo un senso di conforto nella persuasione che il dovere e l’onore mi ingiungevano di scacciare il pensiero di rivolgermi alla cara fanciulla nell’ora dei miei disinganni, dopo che scioccamente m’ero ritratto da lei al tempo delle speranze fresche e lucenti. Questa considerazione era alla radice d’ogni idea che la concerneva. Non feci alcuno sforzo, allora, per dissimularmi che l’amavo e che le ero profondamente devoto; ma mi convinsi che era troppo tardi, e che i nostri antichi rapporti dovevano continuare a rimanere quali erano.
Avevo pensato molte volte a ciò che m’aveva detto Dora del nostro futuro, di ciò che sarebbe potuto accadere in quegli anni che non dovevano più venire.
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Dora
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