Ma avendo messo il piede, nell’atto che mi fermavo ad ascoltare, in un buco dove l’onorevole associazione di Gray’s Inn aveva dimenticato di far rimettere un’asse, caddi con un tonfo strepitoso, e quando mi rialzai, tutto era silenzio.
Andando innanzi a tentoni, per il resto del viaggio, il cuore mi sussultò, vedendo una porta aperta, che portava dipinto: Tommaso Traddles. Picchiai. Si sentì di dentro certo parapiglia; ma null’altro. Perciò picchiai di nuovo.
Un ragazzetto dall’aria sbarazzina, metà domestico e metà giovane di studio, si presentò sulla soglia quasi senza fiato, ma guardandomi come se mi sfidasse a darne la prova legale.
– Il signor Traddles è in casa? – dissi.
– Sì, signore, ma è occupato. – .;
– Ho bisogno di vederlo.
Dopo avermi squadrato un istante, il ragazzetto dall’aria sbarazzina decise di lasciarmi entrare; e socchiudendo perciò un po’ più la porta, mi aprì il varco prima in una minuscola anticamera, e poi in un buco di salottino; dove mi trovai alla presenza del mio vecchio amico (anche lui senza fiato) seduto a un tavolino e col naso sulle carte.
– Buon Dio? – esclamò Traddles, levando il naso. – È Copperfield! – e mi corse nelle braccia, dove lo tenni stretto.
– Tutto bene, mio caro Traddles?
– Tutto bene, mio caro, caro Copperfield, e nient’altro che bene.
Piangevamo di gioia, tutti e due.
– Mio caro amico – disse Traddles, scompigliandosi i capelli, nel suo fervore, operazione assolutamente inutile – mio carissimo Copperfield, amico tanto desiderato, come son contento di vederti e di darti il benvenuto!
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