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      Non avevo veduto più un fuoco di carboni da quando avevo lasciato l’Inghilterra tre anni prima; ma avevo osservato molti fuochi di legna dissolversi in ceneri bianche, per mischiarsi al mucchio grigio del focolare, che non senza giustezza raffigurava, nella mia tristezza, tutte le speranze morte.
      Ora invece potevo pensare al passato gravemente, ma senza amarezza. Il focolare, nel suo senso migliore, non lo avevo più. Quella, a cui avrei potuto ispirare un più forte amore, aveva appreso ad essermi sorella. Si sarebbe maritata, e avrebbe avuto nuovi pretendenti alla sua tenerezza, ignorando per sempre l’amore per lei che m’era cresciuto in cuore. Era giusto che io pagassi il fio della mia cieca passione. Raccoglievo ciò che avevo seminato.
      Pensavo: «E ho veramente disciplinato il cuore a questo, e potrei coraggiosamente sopportarlo e tener tranquillamente in casa di lei il posto ch’ella tranquillamente ha tenuto nella mia?» – quando i miei occhi si posarono su una fisionomia che avrebbe potuto levarsi dal fuoco, come una delle mie memorie infantili intravedute nelle sue figurazioni.
      Il piccolo dottor Chillip, i cui buoni uffici mi avevano reso il servigio riportato nel primo capitolo di questa istoria, stava leggendo un giornale nell’ombra dell’angolo opposto. Gli anni avevano segnato la loro impronta su di lui; ma da ometto calmo, mite e dolce qual era, egli s’andava logorando con tanta lentezza, che potei pensare che avesse in quel momento lo stesso aspetto da lui presentato nel nostro salottino, nell’atto di attendere la mia nascita.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





Inghilterra Chillip