Gli dissi che la mattina appresso sarei partito appunto per andare a trovare mia zia, il drago di quella notte; e che ella era la più affettuosa e la migliore delle donne, come avrebbe saputo benissimo se l’avesse conosciuta meglio. Ma la semplice idea di poterla rivedere un’altra volta parve atterrirlo. Egli rispose con un pallido sorriso: «Veramente, signore?» e quasi immediatamente chiese una candela, e se ne andò a letto, come per rifugiarsi al sicuro. Veramente non vacillava sotto l’influenza del vino caldo; ma credo che il suo polso dovesse dare al minuto due o tre battiti di più di quella memorabile notte nella quale mia zia, nell’ira della delusione, gli aveva scagliato il cappellino in faccia.
A mezzanotte, completamente stanco, andai a letto anch’io; il giorno appresso lo passai nella diligenza di Dover; irruppi sano e salvo nel salotto di mia zia nell’atto ch’ella prendeva il tè (a proposito, aveva cominciato a usare gli occhiali); e fui ricevuto la lei, e dal signor Dick, e dalla cara vecchia Peggotty, che aveva il governo della casa, a braccia aperte e con lagrime di gioia. Mia zia si divertì un mondo, quando cominciai a parlare tranquillamente, al racconto del mio incontro col signor Chillip, e del terrore ch’ella gli ispirava ancora; e tanto lei quanto Peggotty ebbero molto da dire intorno al secondo marito di mia madre, e intorno a quell’ «assassina di sua sorella», che mia zia per nulla al mondo avrebbe chiamato col nome di famiglia o con qualunque altro nome.
LX.
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Dover Dick Peggotty Chillip Peggotty
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