– No – disse mia zia, col suo solito modo brusco. – Intendo di rimanere dove sono.
– Allora vi andrò a cavallo – dissi. – Non avrei voluto passare oggi per Canterbury senza fermarmici. Ma dovevo veder prima voi, mia cara zia.
Ella se ne compiacque, ma rispose: – Zitto, Trot; le mie vecchie ossa avrebbero aspettato fino a domani. – E nell’atto che contemplavo pensosamente il fuoco, di nuovo mi carezzò la mano.
Contemplavo pensosamente il fuoco, perché non potevo trovarmi a Dover, ancora una volta, e così vicino ad Agnese, senza sentirmi rinnovare quei rimpianti che m’avevano per tanto tempo occupato. Rimpianti rammorbiditi, forse, che mi insegnavano ciò che non ero riuscito a imparare quando avevo innanzi a me la giovinezza, ma pur sempre rimpianti. «Oh, Trot!» mi sembrava di sentire ancora mia zia; e la comprendevo meglio ora: «Cieco, cieco, cieco!».
Rimanemmo entrambi in silenzio per alcuni minuti. Quando levai gli occhi, vidi che ella mi stava intensamente osservando. Forse aveva seguito lo stesso filo dei miei pensieri, meno difficile a seguire ora, che quando ero accecato dalla mia ostinazione.
– Troverai suo padre diventato vecchio, tutto coi capelli bianchi – disse mia zia – benché sia migliore di prima, sotto tutti i rapporti, come completamente rinnovato. Né più lo vedrai occupato a misurare tutti gli interessi umani, e le gioie e le disgrazie con la sua povera piccola misura d’un centimetro. Ascoltami, figlio mio, simili cose debbono rimpicciolirsi chi sa quanto, per poterle misurare a quel modo.
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Intendo Canterbury Zitto Trot Dover Agnese Trot
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