– Se fosse così – cominciai – e spero che sia...
– Io non so se sia o non sia – disse mia zia in modo brusco. – Tu non ti devi regolare sui miei sospetti. Tu devi tenerli segreti. Forse non hanno fondamento. Io non ho il diritto di parlarne.
– Se fosse così – ripetei – Agnese un giorno me lo direbbe. Una sorella alla quale ho confidato tante cose, zia, non avrebbe ragione di non confidarmi tutto.
Mia zia ritrasse i suoi occhi dai miei, con la stessa lentezza con la quale li aveva posati nei miei, e se li coperse pensierosa con la mano. Poi pian piano mise l’altra mano sulla mia spalla; e così rimanemmo entrambi, ripensando al passato, senza dire un’altra parola, finché non ci separammo, dandoci la buona notte.
Partii a cavallo la mattina per il luogo che mi ricordava i miei antichi giorni di scuola. Non posso dire che fossi veramente felice nella speranza di riportare una vittoria su me stesso, e neanche nella prospettiva di riveder fra poco il viso di lei.
La ben nota strada fu subito attraversata, e giunsi nelle chete vie dove, si può dire, ogni pietra m’era familiare. Andai a piedi verso la vecchia casa, e poi m’allontanai, e guardando, mentre passavo, attraverso la finestra bassa la stanza a torretta dove prima Uriah Heep, e dopo il signor Micawber erano soliti lavorare, vidi che era stata trasformata in un piccolo salottino, e che non v’era più lo scrittoio. Del resto, la casa aveva lo stesso aspetto di pulizia e d’ordine di quando l’avevo vista la prima volta. Pregai la piccola domestica che mi fece entrare, di dire alla signorina Wickfield che un signore mandato da un suo amico all’estero voleva parlarle; e fui condotto (avvertito di badare ai gradini, io che li conoscevo così bene) per la vecchia solenne scalinata nel salotto, rimasto tal quale lo avevo veduto l’ultima volta.
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Agnese Uriah Heep Micawber Wickfield
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