– Ridete di queste care mie fantasie, Agnese?
– No!
– O se vi dicessi che anche allora comprendevo che voi potevate essere sinceramente affettuosa, non ostante ogni scoraggiamento, e continuare ad esserlo, fino all’ultimo respiro?... Ridereste di questo mio pensiero?
– Oh, no! Oh, no!
Per un istante un’ombra angosciosa le passò sul viso. Sussultai; ma poi la rividi che mi guardava col suo solito sorriso sereno, e si rimetteva a sonar dolcemente.
Tornando a casa, nella notte solitaria, perseguito dal vento come un ricordo irrequieto, pensai a lei, e temei che non fosse felice. Neppur io ero felice; ma, intanto, ero riuscito a mettere fedelmente un suggello sul passato; e pensando a lei nell’atto che levava la mano in alto, pensavo che mi additasse quel Cielo dove, nel mistero avvenire, avrei potuto amarla con un amore ignoto alla terra, e dirle la lotta che s’era combattuta in me quando l’amavo quaggiù.
LXI.
MI SI MOSTRANO DUE INTERESSANTI PENITENTIPer qualche tempo – a ogni modo finché non avessi finito il libro, che sarebbe stato ancora un lavoro di parecchi mesi – stabilii la mia dimora a Dover in casa di mia zia; e colà, sedendo innanzi alla finestra dalla quale già avevo contemplato la luna sul mare, la prima volta che mi ero rifugiato sotto quel tetto, tranquillamente continuai il mio compito.
In conformità della mia intenzione di alludere ai miei lavori d’immaginazione soltanto quando eventualmente s’intreccino con la storia della mia vita, non m’indugio sulle speranze, i piaceri, le ansie e i trionfi procacciatimi dalla mia arte.
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Agnese Cielo Dover
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