Le signorine erano già partite, quando apparve il mio nome sulla porta di Traddles; e il ragazzetto sbarazzino durante tutto il giorno aveva l’aria di non aver mai sentito parlare di Sofia, la quale, chiusa in un retrostanza, aveva il conforto, levando gli occhi dal lavoro, di contemplare dall’alto una striscetta affumicata di giardino con una pompa in mezzo. Ma io la trovavo sempre lì, lieta e dolce massaia, a canterellare le ballate del Devonshire, quando nessun piede estraneo saliva la scala, e a far stare fermo, con quelle melodie, nel suo gabinetto ufficiale, il ragazzetto sbarazzino.
Mi domandavo, sulle prime, perché trovassi così spesso Sofia occupata a scrivere in una specie di grosso mastro, e perché, quando entravo, lo chiudesse sempre e lo seppellisse in fretta nel cassetto. Ma il segreto fu subito svelato. Un giorno, Traddles, rientrato allora dalla Corte sotto la pioggia e il nevischio, trasse una carta dal suo scrittoio, e mi domandò che pensassi di quella scrittura.
– Oh, no, Tommaso! – esclamò Sofia, che scaldava innanzi al fuoco le pantofole del marito.
– Mia cara – rispose Tommaso, con tono di compiacenza – perché no? Che dici di questa scrittura, Copperfield?
– Bellissima! La vera scrittura legale – dissi. – Non ho visto mai una mano così ferma.
– Non sembra una mano di donna, nevvero? – disse Traddles.
– Di donna! – ripetei. – I mattoni e la calce ricordano più da vicino una mano di donna.
Traddles scoppiò in un’allegra risata, e m’informò che quella era la scrittura di Sofia; che Sofia aveva dichiarato che egli aveva subito bisogno d’uno scrivano, e che lo scrivano sarebbe stata lei; ch’ella aveva preso quella scrittura da un modello, e che poteva coprirne.
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