Egli ci riconobbe subito, e disse, uscendo – con la sua solita contorsione: – Come state, signor Copperfield? Come state, signor Traddles?
Quel saluto suscitò il generale stupore della compagnia, forse anzi l’ammirazione per l’assoluta assenza di superbia nel prigioniero, che si degnava di accorgersi delle nostre persone.
– Bene, Ventisette – disse il signor Creakle, guardandolo pietosamente. – Come state oggi?
– Io sono molto umile, signore – rispose Uriah Heep.
– Lo siete sempre stato, Ventisette – disse il signor Creakle.
A questo punto, un altro signore chiese, con grande ansia:
– Vi manca qualche cosa?
– No, grazie, signore – disse Uriah Heep, volgendosi al signore. – Sto molto meglio qui che non m’avvenisse mai fuori. Ora compiango le mie pazzie. E questo è ciò che mi fa star meglio.
Parecchi signori si mostrarono commossi, e un altro, dando un passo innanzi, fece una terza domanda con molto sentimento.
– Come avete trovato il manzo?
– Grazie, signore – rispose Uriah, dando un’occhiata verso colui che lo interrogava: – era un po’ più duro di quello di ieri; ma è mio dovere di non lagnarmene. Ho commesso delle pazzie, signori – disse Uriah, dando uno sguardo in giro con un mite sorriso – e debbo sopportarne le conseguenze senza borbottare.
Si levò un mormorìo, in parte di compiacimento per la celestiale condizione di spirito del Ventisette, e in parte d’indignazione contro il fornitore dei viveri che gli dava tante cagioni di lagnanza. E mentre il signor Creakle prendeva subito nota del fatto, il Ventisette se ne stava in mezzo a noi come se si sentisse il principale oggetto di merito in un gran museo di alti benefattori.
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