Io credevo che quella sera ella avesse, in tutto o in parte, indovinato i miei pensieri: e che comprendesse pienamente la ragione perché io non li formulavo più chiaramente.
Giunto il Natale, e non avendo io ricevuta alcuna nuova confidenza da Agnese, il dubbio che m’era sorto parecchie volte – ch’ella, cioè, avesse in qualche modo la percezione del mio amore, e tacesse per timore di ferirmi – cominciò ad opprimermi gravemente. Stando così le cose, il mio sacrificio non serviva a nulla; tutta la gratitudine che le dovevo rimaneva perfettamente sterile; e il male che non avevo in animo di farle veniva quotidianamente perpetrato. Risolsi di metter subito ogni cosa in chiaro; e se fra noi esistesse mai una barriera simile, romperla con animo risoluto.
Era una rigidissima giornata invernale – ho una gran ragione per ricordarla con precisione! – aveva nevicato alcune ore prima, e la neve, non molto alta, ma già dura, ricopriva il terreno. Oltre la mia finestra, in mare, il vento soffiava violentemente da nord. Avevo pensato al vento che allora spazzava sulle montagne svizzere i deserti di neve in quella stagione inaccessibili al piede umano, e m’ero domandato se fossero più sole quelle regioni solitarie o quell’oceano deserto.
– Vai a cavallo, Trot? – disse mia zia, facendo capolino alla porta.
– Sì – dissi – vado fino a Canterbury. È una bella giornata per cavalcare.
– M’auguro che anche il tuo cavallo sia dello stesso parere – disse mia zia; – ma in questo momento sta fuori innanzi alla porta con la testa e le orecchie basse, come se pensasse preferibile la stalla.
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