– Ed era...
– Che solo io dovevo occupare questo posto vuoto.
E Agnese si chinò sul mio petto e pianse; e io piansi con lei, benché fossimo così felici.
LXIII.
UN VISITATORECiò che mi son proposto di scrivere è quasi finito; ma vi è ancora una vicenda che ricordo con grandissimo piacere, e senza la quale un filo nella tela che ho intessuta rimarrebbe fuor della trama.
Ero andato un bel tratto innanzi in celebrità e fortuna, la mia gioia domestica era perfetta, ed eran dieci anni che ero ammogliato. Agnese e io eravamo seduti accanto al fuoco, nella nostra casa di Londra, una sera di primavera, e tre dei nostri bambini si trastullavano nella stanza, quando mi si annunziò che uno straniero voleva parlarmi.
Gli era stato domandato se si trattasse di affari, ma aveva risposto di no. Era venuto per il piacere di vedermi, e aveva fatto un lungo viaggio. Era vecchio – mi disse il domestico – e aveva l’aria d’un contadino.
Questa notizia suscitò qualche commozione fra i bambini, perché aveva qualcosa di misterioso e somigliava al principio di una fiaba, narrata spesso da Agnese: una vecchia strega, che odiava tutti, arrivava avviluppata in un mantello. Uno dei nostri piccini nascose la testa nel seno di sua madre per essere al sicuro da ogni pericolo, e la piccola Agnese (la maggiore dei nostri figli) lasciò la bambola su una sedia a rappresentarla, e portò dietro le tende della finestra il mucchietto dei suoi riccioli d’oro, per assistere agli avvenimenti.
– Che venga avanti – dissi.
Tosto apparve, e si fermò, nell’ombra della porta, un vecchio robusto dai capelli grigi.
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