Mi veggo con Agnese al fianco, percorrere il cammino della vita. Mi veggo circondato dai nostri figli e dai nostri amici; e odo il suono di molte voci care lungo la via.
Quali sono i visi che distinguo meglio nella folla? Ecco, tutti quelli che si son voltati alla mia domanda.
Ecco mia zia, con gli occhiali più forti, già vecchia di ottanta anni e più, ma impettita ancora e capace di fare a piedi, senza titubare, un tratto di sei miglia in tempo d’inverno.
Sempre con lei, ecco Peggotty, la mia cara vecchia domestica, anche lei con gli occhiali, che la sera si mette a cucire accanto alla lampada, non dimenticando mai il moccolo di candela, la fettuccia della misura nella cassettina, e la scatola da lavoro con la veduta di San Paolo sul coperchio.
Le guance e le braccia di Peggotty, così dure e rosse nei miei giorni infantili, che io mi domandavo perché gli uccelli non venissero a beccargliele invece delle mele, sono aggrinzite ora; e i suoi occhi, che solevano abbuiare tutti i dintorni del viso, sono più deboli (benché scintillino ancora); ma il suo indice scabro, che allora mi faceva pensare a una piccola grattugia per la noce moscata, è perfettamente lo stesso. Quando io veggo il mio ultimo nato aggrapparsi ad esso, mentre corre vacillante da mia zia a lei, ripenso al piccolo salottino di casa mia, quando io appena movevo i passi. Mia zia è finalmente consolata del suo passato disinganno: è madrina di una Betsey Trotwood in carne e ossa; e Dora (quella che vien dopo) dice che mia zia la vizia.
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