E vuota č pur la poltrona dietro la tāvola. Vi si scriveva. Che? Stanno, sullo scrittojo, pigne di calepini e di cōdici, uno scannello, quaderni di carta involgi-salame, una bottiglia d'inchiostro, e un moccichino tanč; sotto, due pantōfole. Sfido io a non vi si porre con l'ānimo di fabricare un in-folio, grande, grosso, e zeppo di erudizione, cioč di roba furata; sfido io a non attėngere da quella māchina di calamajo d'ottone, stopposo, con quelle penne di oca scrizzanti, se non se dei perėodi indiavolati, che tčngono il capo, dove, naturalmente, si mčttono i piedi, coi ragnateli in mezzo, fatti per disgustarci dal lčggere, oppure foggiati ad una maniera, di tante lėnee, di tante parole, senza un chiarore nč un bujo, che pare dėcano tutti la medčsima cosa, non c'invogliando di ricercarne altre.
Ma, giuraddiana! ove mai riuscimmo? Fallata ho la strada. Da capo!
Perō, si faccia prima tonnina di questa gran tarabāccola d'ipocrisėa e di scienziata idiotāggine; si abbāttano le illustrėssime sedie... dalle, allo scrittojo! una spinta, un'altra. Senti una gamba che scricchia... cede... Alla larga! E lo scrittojo patatrācca gių; vanno sossopra scartafacci e libroni; la boccia d'inchiostro si spezza... quante dissertazioni abortite!... Gigio, vuoi che ti tenga la scala? Bųttami abbasso quel tarapatām... Mi ti raccomando la testa! S'ciāncami dalle loro coperte di cuojo, scarpe andate a male, tante poltrone scritture. Che č questa? "Question moral si la bėbida del chocolate quebranta el ayuno eclesiāstico"... al diāvolo!
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