Pochi, ma con i baffi. E vàlgono una biblioteca di centomila volumi, se, a dire il vero, non la val l'abicì, che tien, fra il panetto e la mela nel panierino, lo scolaruccio.
Oltredichè son tutti con il millèsimo dell'ottocento sonato, a carta quasi una panna, a caràtteri nìtidi e svelti. Se clàssici, senz'una di quelle profonde dichiarazioni, che appìccansi ai passi più chiari per rènderli oscuri, o note che màndan da Erode a Pilato. Come, del pari, senza nè œneis nè ligneis figuris, sia nel testo, sia aggiunte. Alberto Pisani non ne poteva soffrire, fòssero state di un Van Dyck. Per lui, gli illustratori erano gente, che gli si volèvano imporre alla fantasìa, che, non chiamati, s'introducèvano là, dove desiderava trovarsi col suo autore da solo a solo.
E, giacchè parliamo di libri, Alberto, fra le cento stranezze, ne contava parecchie intorno alle legature e ai formati. Secondo lui, a Tàcito, a Machiavelli stava bene l'in-quarto, il tomo ùnico, la coperta robusta, sèmplice, seria; Metastasio invece potèvasi ròmpere a volumetti e a molti, caricare di fregi; Ortis dovèasi lasciare in camicia, molle, pronto a sparire sotto ai quattr'occhi della signora maestra.
E ora, questo Alberto Pisani, che è un brunettino dal viso tanto quanto soffrente, magro, e di un venti anni e coda, quantunque ne dia a vedere al più al più diciasette, stà in pie' su 'na sedia alla libreriuccia aperta. Egli, coll'indice, scorre il dosso dei libri del palchetto di mezzo. Si ferma a Parini, lo tràe di rango, pone sull'ùltimo piano.
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