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Ora invece, messi i poètici occhiali, ecco l'ex-militare diventargli un tiranno dal fèrreo cuore, il grugno di bronzo, lo sguardo d'acciaio, insomma una collezione de' più duri metalli; ecco la giovanetta cangiàrsegli in una creatura di cielo, con treccie d'oro filato, fronte spazïosa d'agata, due zaffiri per occhi, perle in cambio di denti, insomma una bachèca di orèfice.
E Alberto risolve' tentare una lèttera, maravigliàtevi! in prosa; spicco, che gli fece sudare una goccia ogni capello. Scritta, la ricopiò calligraficamente sopra lùcida carta, pinta a svolazzi di ben pasciuti amorini, la insabbiò d'oro, poi, piegata e accomodata in una busta a ricami, la chiuse con un rosso obbiadino dalla figura di cuore. Uscì. Sonava l'ora de' pipistrelli. In tasca il prezioso viglietto, tenne verso le case di lei.
E tanto egli si era ubriacato del suo, che non esitò neppure un momento a oltrepassarne la soglia e a entrare nella portinarìa.
Ma là ristette confuso; colà sedeva la Giulia (ben sott'inteso, con la faccia bendata) chiacchierando al portiere.
Oh! signor Albertino!
Tu quì?
Vede bene. Sono al servizio della famiglia Balotta. E sua nonna?
Alberto si smarriva, smarriva; uccello nella ragnaja, impaurito all'alzar degli stracci, fuggì vèr le reti.
Giulia disse t'ho a confidare un segreto; vieni.
Un segreto? a me?
E la fantesca levossi, e il seguì: fermàronsi tutti e due in istrada sotto a un lampione. Ivi il nostro poeta, dimenticàtosi affatto che un guatterino grembiale cingeva la Giulia, si diede a sballarle una terrìbile storia d'amore; meglio, una quintessenza di storie.
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