Amo! ripetè, a forte, il ragazzo.
Ancora? sclamò ghignando la nonna E chi?
Camilla! arditamente egli fece Camilla, che sposerò
Donna Giacinta divenne pensosa.
Ma, sai disse o il mio caro Bertino, che ti sei scelta una eccellente compagna? Bene, e poi bene! Manca che non dicessi di sì! Spòsala... spòsala sùbito... Diàmine! Camilla è ricca; ti comprerà un arsenale di giochi. Camilla è grande; ti porterà in braccio alla nanna...
Tàque, perchè Albertino piangeva.
Che l'indomani fosse domènica, senz'almanacco, anche senza memoria, sarèbbesi detto: tutt'all'ingiro, quiete; nell'aria, note smussate di òrgano e leggier sentore d'incenso; da lungi, rombo di campanoni e ìmpeti convulsi di tosse di qualche squilla crepa. O delizioso odor di domènica!
E Alberto, nella càmera sua, in attesa della contessa di-Negro e Camilla, le quali usàvano accompagnarsi a donna Giacinta e a lui per la messa, stava facèndosi bello innanzi allo specchio.
Si udì uno scampanellìo.
Camilla! sclamò Alberto contento.
E sentì tutta la casa risvegliarsegli intorno. Difatti, quella ragazza era sett'ànime e un animìno. Al suono giojoso della voce di lei mettèvansi a chiuccurlare tutti gli uccelli di gabbia del vicinato, crocchiàvano i parrocchetti, il cane barbone abbajava, scappàvano quasi scopati i mici; all'apparire della sua faccia da rosa-Bengàla sembrava che doppiamente brillàssero e i cristalli e gli ottoni, sembrava che sorridèssero i muffi ritratti dei nonni.
Dùnque Alberto, sotto l'allegra influenza di lei, finì di abbigliarsi; poi, guantato, in una mano il berretto, il libro di messa nell'altra, lasciò la càmera sua e attraversò quella di nonna vèr il salotto.
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