Secondo lui, i condiscèpoli suoi, bevèvano falso-Champagne in mancanza di schietto: a ciò, ùnico scudo o rimedio, era un amore, fosse anche ideale. E Alberto, per la seconda volta in sua vita, cercò; questa, non di maniera.
Ma di vivente, nulla. Non gli parea di abbàttersi se non in testiere da parruccajo o cuffiara; talora, lusingàtosi còlto da qualche giòvane aspetto, com'esso gli dileguava, il cuore di lui serbàvane traccia, quanto la tela, esauriti i vetri della lanterna màgica.
Quindi, si vide il nostro gòtico amico, per delle settimane alla fila, in volta nelle pinacoteche, assaporando a centelli le gloriose bellezze, tra una santa indeciso, una regina e una dea. Ma, chèh! Èrano quelle un po' troppo a chiùnque. Alberto avrebbe invece voluto serrarle nella sua stanza, goderle egli solo. Poi, diciàmolo, la loro vita d'amore era già stata compiuta, scritta, stampata; mancàvano d'un non so che... Cosa? (questo, Alberto, sentiva senza osar di pensarlo) Fragranza di carne.
Così, egli usciva dalla pinacoteca, solo come all'entrare, o spesso, col cupo sfondo del quadro nell'ànima.
E, a cibo del suo chiuso umore, lesse un mattino, di una tal stiratrice, che, piantata da una birba di amante, avea ricorso al carbone. Alberto ne intenebrì. Ei sospirava un amore; altri èrane stucco; a lui nessuna gentile pensava, per altri e indegno ecco una poveretta, precipitarsi a cacciare dal suo stambugio il creatore soffio di Dio, a morirne i sospiri con le spergiure lèttere; èccola destare smaniosa il fornellino che già le dava la vita; poi nascosta quella Madonna, non mai nascosta per altro buttarsi sul letticciolo, la faccia contro i guanciali, attendendo.
| |
Alberto Alberto Fragranza Dio Madonna
|