Ma, chèh! Alberto temeva la società. In società cuore gentile non basta. E Alberto sentìvasi e all'orba di tutti gli usi di quella e privo di spacciatura per se ne impipare. D'altra parte, fuori dell'àqua, come apprèndere il nuoto? A raccòrre con disinvoltura il fazzoletto, sempre per terra, della marchesa Trestelle, dòmine! bisognava vederlo a cadere.
Studia, studia, ripeto, a che? a niente. Tu miri troppo, e la ròndine fugge. Bel gusto, ve', di passare quel breve tempo in cui si fanno a tre a tre gli scalini (quando, in isbaglio, non quattro) lì, solo, presso del fuoco, contando le monachine; oppure a scrittojo, s'ammobigliando, stipando il cervello, per rènder poi dotti... i topi del cimitero.
Sì, giacchè ne fu data, più per forza che amore questa inùtile vita, dimentichiàmola in mezzo ai piaceri. Dopo, che ci può èssere mai? Abbòndano le risposte, ma chi le detta è mattìssimo orgoglio, quel tale orgoglio che ci fà copie di un Dio, e insegna come la provvidenza cresca la lana all'agnello per riparare dal freddo noi.
Dimando io, prima d'uscire alla luce, che fummo? Se siamo immortali, perchè principiammo? Nè mi toccate a scusa l'oblìo; il vostro oblìo è il mio nulla.
E Alberto quì s'affisò in una lunga lunghiera di stranìssime idee, giunte a fila di ragno. Sfido la penna a seguirlo! Ma, se anche il potesse, la ratterrei; io non voglio che voi, o lettori, abbiate a lasciarmi in un accesso di disperazione; quindi, alla chiusa! Alberto si scosse, scese dall'orlo dell'armadietto, e borbottando "carpamus dulcia, nostrum est quod vivis" passò nella stanza da letto.
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Alberto Trestelle Dio Alberto
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