Ecco il teatro. Tôcche le sedie, il nostro amico rimane un istante a calcolare il terreno; conta le file; poi, entra in una.
Gran tramestìo di gambe e di pudìche sottane. Egli si ferma a un ufficiale che ride con una bella vicina, e:
Di grazia dice.
Eh? fà il militare alzando la testa; e, come Alberto accenna alla sedia Pardon! è la mia. Guardi meglio il biglietto!
Proprio! Alberto avea sbagliato la fila.
Scusi! mòrmora. E torna a fare la strada in tanta stizza e vergogna, che per un pelo non iscappò dal teatro.
Intrattanto la banda suonava; banda a istrumenti un po' corti di fiato. Per contraccambio, ciascuno tendeva ad aprirsi una via sua propria, e Dio sa dove sarèbber finiti, se, a contenerli, non sopraveniva qualche gran colpo di tamburone, uno di quà, uno di là, come quando s'incèrchian le botti.
Ma, di sconnesso ancor più, stava nel mezzo del cerchio, un disgraziato fanciullo che si storceva per solazzo del pùblico. Era l'uomo-caoutchouc; un mingherlino a cui i bimbi della platea e dei palchi invidiàvano il bel vestito da diavoluccio, rosso, a pagliùcole d'oro, ma che, d'inferno, sentiva solo le pene.
O pòveri ossicini! come dovevate crocchiare! E il pùblico, giù ad applaudire. Sai allora chi ringraziava? Un grassone in livrea "le braccia al sen conserte" pure nel cerchio. Càpperi! Lo avea egli fatto!... e disfatto!
LA CASSIERINA
Dieci anni di meno Alberto si trovava in campagna. Era solo, su 'n terrazzino della casa paterna che soprastava al villaggio, stanco, come generalmente si è agli sgòccioli di una domènica, il giorno del fare niente, e si sentiva la faccia accarezzata dalla frescura notturna.
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Alberto Pardon Dio Alberto
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