E cominciàrono i giuochi giuochi infami!
Imàgina due piccini, di non più di sei anni per uno, pezzati di nudo e con le animuccie lì pelle pelle, ballottati senza misericordia; e imàgina una tosuccia (la cassierina) incesa da bicchieretti di branda, a saltar trafelata, cerchi, corde e sedili, tossendo, e gettando a guisa di gioja i gridi che le strappava il dolore.
A un punto, sghiàtole il piede, la cadde contro del muro; nè il muro era, per pasta, di quelli di Gèrico.
Alberto non potè più durarla, si alzò, e dilungossi con l'ànimo che gli sapeva di brusco. E, quella notte, nella fantasìa di lui, fu un vai-e-vieni; ora, di vispi e puliti popò dall'odore di cipria, cui, parlando, ognuno addolciva e le parole e la voce, e i quali, se piangèvano mai, era per non riuscire a spezzare tutti i loro be'-belli; ora, invece, di avvizziti puttini meglio, di pìccoli vecchi a strappi, lavati dalle loro làgrime solo, mai da nessuno baciati, mai sorrisi, quì a grignotare secchetti di pane dinanzi alle golose mostre di una rosticcerìa, là rannicchiati entro un pagliajo, bubbolando pel freddo, in compagnìa di qualche cane perduto o abbandonato com'essi.
Il domani, Alberto, si destò di buon'ora. Bisogno, più che non voglia, stringèvalo a ritornare sul luogo del crudele spettàcolo. E, come vi fu, trovò la baracca, spiantata; sen caricava un carretto. Sopra del quale, uno de' saltatori (quel dal mostaccio di spazzacamino) in maglie ma con la giacchetta a ridosso, dava di piglio ad un palo pòrtogli dal Meneghino.
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Gèrico Alberto Meneghino
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