Poi, tirò innanzi. Ma e che? èccol di nuovo a lei fiso. Certo è, che le cose, belle di vera bellezza, sebben non comprese alla prima, làsciano desiderio di sè. Ed ella or sorrideva; di qual sorriso, Dio! non già della grinza, nata allo specchio ed usa nel mondo elegante, ma di un sorriso di quelli, che, venendo dal cuore, rimbeltempìscono i bimbi, ed accontèntano i poveretti.
Eh! saltò su a dire una voce dietro di Alberto, mentre una mano il tentava.
Ei, sobbalzando, si volse; come se còlto ad un furto. In verità, furava a un marito.
E vide Enrico Fiorelli, uno de' suoi condiscèpoli molti di un tempo e delle sue poche conoscenze dell'oggi. Fiorelli era un grassotto, tal da sembrare imbottito, piuttosto rosso che biondo, e con un'aurèola tutt'all'ingiro di far 'na vita da papa.
Alberto continuò Enrico, scavalcando il dossale ad una sedia non occupata presso di lui l'è mesi mesorum da che ci siamo incontrati. Ti dirà la mia cera che vengo dalla campagna. Salvo una fame assassina, stò a gonfie vele. E tu?
Vivo.
Non credo. C'è da giurare che ti stai sempre fra quei tuoi morti di libri. Studii alla disperata, eh?
Alberto fe' una boccuccia di noja: niente lo contrariava di più del passar per sgobbone.
Non mi dare la berta rispose Dimmi invece una cosa...
Due.
Già; tu conosci moltìssimi...
Conosco, fà conto, mezza città.
Siamo a casa allora. Sai dirmi chi è... chi è quella... Guarda in fila seconda, a sinistra... quel fagotto di donna, in raso colore cangiante?
Ipòcrita di un Alberto! Ve', se pigliàvala larga.
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Dio Alberto Enrico Fiorelli Enrico Dimmi Alberto
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