Signore... nùmero due! ripete alla soglia della sala da pranzo una voce.
Quì il vetturino, per le maniglie, s'arràmpica vèr la cassetta.
Èccolo! grida un ragazzo.
Infatti, due donne èntrano frettolose dalla porta di strada; si fèrmano alla diligenza; si abbràcciano; bàciansi; pènano a separarsi. Ed il commesso si mette a far nòte; il vetturino si calza i guanti più adagio.
Ma concambiato è l'ùltimo bacio.
Olà! op op! vocia il cocchiere, raccogliendo le briglie e s'giaccando la frusta. E la greve carrozza si muove, passa lentamente il portone, e ruota sui trottatoj di granito. Vi ha passeggieri, di quegli infelici, costretti, nell'ampiezza del mondo, a trarre la vita entro quel torno di mura di cui nàquer prigioni, che l'accompàgnano con un sospiro. Molti de' viaggiatori sospìrano invece nel lasciare la gabbia.
Nel coupè, Alberto, il quale sembra dormire, guarda la sua vicina, sottàqua. Egli, nel nùmero due, non aspettàvasi certo una donna, e, quel ch'è più, una donna giòvane e bella come gli avèan tradito i fanali. Troppo desiderava e temeva ciò. Ora, il cuore gli làngue in una commozione dolcìssima. La sua compagna stà avvolta in un waterproof, il velo del cappellino giù. Tra essi, posa una sacchetta di cuojo, poca barriera, ma che val, per l'onore, quanto una catena di monti.
E chi potea mai èssere la solitaria viaggiatrice? Alberto vìdela trarre un fazzoletto di tasca, e pòrselo agli occhi; dùnque, una istoria di pianto! Tosto, il cervello di lui si die' a fabricare romanzesche avventure; tuttavìa e' s'annaspava vieppiù; tuttavìa e' sentiva quel smarrimento di sè, quell'abbandono, che precèdono il sonno.
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Alberto
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