Nè c'era in mezzo se non il rumor del selciato; sì, che allorquando si cominciò a còrrer soave sur il battuto, Alberto non finse più di dormire.
Come destossi, la luna splendeva diritto nei vetri innanzi al coupè, illuminando, al di là, i dorsi e le teste dei tre cavalli; di quà, egli e la vicina di lui, sopìta. Il velo del cappellino era su. L'ovale sua faccia, da cui le làgrime avèano cancellato e il colore e il sorriso, pareva al melancònico chiaro uno schizzo a carbone su 'n bianco muro. Dio sa quali occhi sotto quelle palpèbre a lunghe ciglia di seta!
E il guardo del nostro amico, vinto a incandescenza cotanta, dovette abbassarsi. Dal waterproof di lei, sopra un ginocchio, usciva una mano guantata, stringente una lèttera.
Un'ora passò. Svegliossi anche la bella, s'addiede di ciò che avea tra mani, e, vôlto alla sfuggita un'occhiata ad Alberto, l'aprì.
Quella lèttera avea forte-impresse le pieghe, ed era sciupata. La incognita stette un istante indecisa, poi la stracciò, e tornolla a stracciare; sogguardò un'altra volta ad Alberto, si alzò, e, sceso un cristallo (senti che brisa!) sparpagliò fuori i pezzetti. Quanto al suo cuore, era di già lacerato!
Impallidisce la luna; la punta del freddo si aguzza. Con il dissòlversi di una spolverina di nebbia, si disègnano e stàccano su 'n fondo celeste a pennellate ròsee, violette ed arancie, le creste delle montagne, e de' villaggi i contorni. Il gallo, canta.
E, come la machinosa carrozza, in discesa con uno stridore di scarpa, tocca un acciottolato, la sconosciuta si tira in grembo la sua sacchetta di cuojo.
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Alberto Alberto Alberto
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