Fanciullo ancora, ei raggrinzava le mani e nella voce affiochiva alla parola "morte" e si palpava la faccia seguèndone l'ossa. In tutto, un accenno di lei; montava una scala, ogni gradino suggerìvagli un anno... oh! come presto al ripiano. A volte, stretto da improvvisi spaventi, correa strillando le stanze...
Che hai? gli dimandava la mamma.
Egli taceva, aggricchiava.
E, a soffocare tali atroci paure, credette, adolescente, una via, il gittarsi nella nemica idea, il non pensare, il non udir che di essa. Ahimè! il rimendo fu peggior dello straccio. Certo, ci ha libri, i quali ne famigliarìzzano con la figura di morte, mostrando la sua poca importanza, pingèndone urne rischiarate dal sole e inghirlandate di rose; ma altri, e molti, (la più parte di frati cui il digiuno del mondo fe' brusco) aumèntano i nostri terrori, col mètterne innanzi un inventario di strazi... grinfe, code e piè-d'oca sopra e sotto del letto, sudari, e puzzolenti tenèbre. E poichè noi, verso dove incliniamo si cade Martino, invece d'aprire gli scuri al sereno, asserragliossi nel bujo.
Sbaglio su sbaglio, dièdesi alla medicina. Questa, nella maniera che la psicologìa avèvagli tolta ogni fede e ogni opinione sul patrimonio dell'ànima, gli giunse a destare intorno a quello del corpo un biribàra di dubbi. Solo, capì su quale fràgile trama fosse l'uomo tessuto, quanta folla di casi potèvala ròmpere. E, nuova scienza, nuovi dolori.
Tuttavìa, uno svario gli si frammise a tali ombre. Le ombre e la giovanezza di lui facèvano ressa a vicenda; Martino si ubbriacò, stalloneggiò, e riuscì a sottrarsi per qualche tempo a sè.
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Martino Martino
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