.. diavolerìe, magìe... ossèrvino! E tese la mano a un camerino senz'uscio.
Servitore e padrone vi vòlsero l'occhio. E, poichè stava nel camerino, un coso, un tabernàcolo degli Ebrei, suppergiù un usuale gasòmetro, la fantasìa di Paolino restò; quella invece di Alberto si spinse più in là; trattàvasi d'indovinare, sua passione, suo forte. Ed egli vi apprese, che il mago avea saputo utilizzare, oltre la vita, l'uomo. L'uomo, non può più fare? Illùmini colui che fà.
Tornàrono silenziosi nell'atrio.
Ecco la scala! disse la vecchia nell'indicare un rastrellino di ferro, giusto riscontro all'uscio della portinarìa. E Paolino l'aprì. La grassa delle portinaje rimase a terreno; gli altri, montàron la scala.
E riuscìrono in un salone.
Il quale salone, che rispondeva sull'atrio, mostrava, al pari di quello, un aspetto deserto; le pareti, nude; i calcinacci, per terra; non una sedia; vi sobbalzava quindi allo sguardo un assone con due cavalletti a sostegno. Là il bucatino del mago, là il taglio della sua ùltima veste. E a dire che que' cavalletti e quell'asse venìvano da un palco-scènico! da un teatruccio già nella medèsima sala!
Quì disse la vecchia con una stilla di fiele al tempo dei tempi, prima che il suo signore prozìo comperasse la casa, era la società dei Burloni! e sospirò. Poverina! Ella, che ora, tutta naso e bazza, rappresentava per forza la parte di strega, una volta, fresca e pienotta, lì avea recitato le vispe di crestaìna e servetta! Oh dove quella platea a lei sorridente e che applaudiva? oh dove quel capo-ameno di suggeritore, il quale, ammiccando e facendo le mocche, cercava, ma invano, di smarrirle il contegno? e, infine, dove il suo Antonio, il giòvane biondo dal mazzolino di rose, che dalle quinte miràvala con batticuore?
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