Paolino, co' suoi risparmi, si era comprata una cassa, vero arsenal di Venezia a pàtine, raschiatoi, sètole, spazzette; come si avea aquistato a làscito di un lustra-scarpe corteggiato da lui, una quantità di segreti per il lùcido ìnglese, i saponi miràbili, e vie via. E stava al corrente dell'avanzar della scienza, e rifletteva dì e notte, nè intralasciava l'esperimento. E Alberto, brodolone e sciupone di prima forza, mettèvagli continuamente innanzi i più svariati casetti e le più complesse quistioni.
Dùnque è naturale, che, Paolino, venuto a cadere entro una casa sì fritellata come quella del mago, si ritrovasse nel suo. I cavezzali più non rimpianse. E con tal foga spiegò la sua arte e la passione di lui, che, in manco di un mese, se ancor volea pulire, dovea grattarsi la nuca e adocchiare all'intorno.
Per verità, c'era un luogo, il quale gridava sempre àqua, ma alla sidella, quel luogo, avea del nemus. Dico la portinarìa. Allorchè Paolino, a mano armata di scopa, tentò varcarne la soglia, le due sacerdotesse della Sporcizia, gli mòssero incontro, i pugni sui fianchi, il viso da basilisco.
Ma egli non si smarrì; trattàndosi di centopiedi
là vìve la pietà quand'è ben morta,
e fece per inoltrarsi.
Infùriano le portinaje.
Si chiama a giùdice Alberto.
Il quale, dà una lampadina alla stanza; poi, ne dà una alle vecchie; poi, avvicinàtosi al servo "ma e le signore?" susurra.
Mòbili e portinaje, quelli e queste tarlati, in statu quo, tutto assieme, potèvan durare; tòcchi, chi sa?
E Paolino intelligentissimamente sorrise; così, l'impresa finì. Pur le due vecchie, per un bel pezzo di tempo, èbbero col servitore le ova dure allo stòmaco.
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