E, certe come si stanno le due amiche di vìncere, possièdono veramente; han, dùnque, tutti i piaceri della ricchezza senza i fastidi, tutta la smania del comperare e non il sazio di avere. Sono padrone di fondi e non pàgano imposte nè al governo nè a Dio, sono padrone di case e non tèmono incendi e non ladri; fanno spese stragrandi e il loro sacchetto pesa sempre lo stesso.
Nè poi crediate che i disinganni settimanali le distùrbino molto.
Pazienza! esclama, rincasando, la magra.
A un'altra volta! ribadisce il grassone senza scomporsi. E lì, fatto un bel taccio sulla disdetta, si danno a cercare nùmeri di fisionomìa più bella.
Ma quì odo certuni, di quella risma di gente, che, infistolita nel naso, sente la corruzione ogni dove, gridare "lungi da lui" me additando "è venduto!" e odo del pari, altri, di que' che fanno il mestier del filàntropo e dan masticata la scienza al popolino, dire "non lo ascoltate, operai; ammucchiate. Volete vincere il terno? mettete al lotto degli interessi composti". Ebbene! io ai primi rispondo, che respiro del mio; e dico a quegli altri, brave persone del resto, ch'essi ragiònano troppo col mètodo dei matemàtici, cioè a màchina. Oltre le gambe, ci ha molto ancora nell'uomo, se pòvero principalmente, a tener su. E, una e prima, la speme. Vale pure, mi sembra, per settimana, un cinquanta centèsimi.
Così, Alberto conchiude; ma io soggiungo, che nel bozzetto di lui, d'altra parte bellino, màncano due personaggi; i due frequentatori della portinarìa.
Il primo, era un antico soldato, col faccione a grattugia, rosso come un salame, in grazia forse del collo strozzato da un cravattone e della zucca compressa da un parrucchino, con gli anelletti d'oro alle orecchie, e un abitaccio caffè; di que' soldati entusiasti del
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Dio Alberto
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