E, a volte, Giulio e Antonietta attiràvano a sè qualche putto; se virisello dagli occhi briosi e dal nasino all'insù, col ciribìbì di un bombone; se vergognino, a sorrisi. Ed ella solleticàvane la chiacchierina. Il cìttolo, allora, mettèvasi a spippolare le ragionette sue o ponea dimande sopra dimande di una ingenuità da imbrogliarne quattòrdici savi... non una donna però. E, Giulio, facea poi palpitare i cittelli, loro contando le istorie di Gino e Ginetta e di Barbotta-fagioli strione, o rìdere a più non posso scoccando loro sul naso la calottina dell'orologio.
Così, su quella istessa panchetta, i nostri due infelici almanaccàvano il nome pel loro cirlino. E, in quanto a nomi, biseffe! Essi mettèvano a parte i più graziosi e minuti, pur non trovàndone mai uno minuto e grazioso abbastanza; senz'avvertire, che il toso farèbbesi uomo e il nome resterebbe bambino. Poi, pensàvano anche agli abitucci di lui, dopo quello di pòlpa; sul che, Antonietta, la quale avèane sempre pel capo uno nuovo, lo descriveva al marito mandando giù l'aquolina. Infatti, in questo giro di tempo, se ne vèggono in mostra di sì gentili e sì belli, che la smania ci piglia di spirar loro la vita, e, non farlo, è un peccato.
Mò guarda quello Giulio diceva alla moglie, additando una bimba, la quale parea uscita in quel punto da una vetrina.
Dio! esclamava Antonietta, serrando il braccio al marito.
E ritornàvano a casa... ed èrano sempre due.
Ma un dì, ella, arrossendo, mormorò all'orecchio di lui una mezza-parola.
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