E, questa, scioglièvasi in làgrime. Voleva proprio suo padre, che non le ne avanzasse una goccia per piàngerlo morto.
VIII.
Il testamento del signor Pietro
È di mattina; le sei. Il dottore ha detto ad Enrico, che l'ammalato può voltar là di minuto in minuto, e il giovanotto lo disse alla tosa. Sono dieci ore che il signor Pietro tiene chiusa la bocca, e le palpèbre giù; rannicchiato contro del muro e ansante; solo, alle prime parole di una domanda d'Aurora che avea sentore di chiesa e di preti, egli, impaziente, fremette.
E la fanciulla gli è accosto e gli ha una mano sul fronte intantochè, nella medèsima stanza, Enrico, dietro di un paravento, aspetta una parola di pace.
Verso le sette, il moribondo si volge a fatica, guarda la figlia, e con la voce, siccome l'occhio, appannata:
Aurora fà.
Oh babbo! e la ragazza lo bacia.
Par che la vita mi lasci egli geme E io... io fui molto cattivo... più che cattivo, con la tua mamma e te...ma...
Oh babbo! singhiozza la tosa.
Ma egli riprende con pena io vo' che tu sia felice... Tu devi giurare... Eh? giuri?
Sì.
Di non sposare il Giorgi... il San-Giorgio, perchè...
Enrico diede un sussulto di cui vacillò il paravento, e si fuggì nella stanza vicina. Là si gettò su 'na sedia, pianse. Oh quando stillossi, mio Dio, una quintessenza più acuta di malvagità?
IX.
Dichiarazione del testamento
Aurora entra là dove Enrico si stà disperando, pàllida, con due madonnine che le còrrono giù:
Pòvero babbo! sospira.
E tu, che hai promesso, tu? chiede l'amante con un singulto d'angoscia.
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