Chè, se sveglia d'ingegno, quale tormento! se stupidetta, che noja!... Ed era? Leopoldo pendea al secondo partito; il ritrattino difatti, che, dodicenne, essa gli avea mandato, mostrava una faccia grassa, indormenta. Non rifletteva però il giovanotto, che chi dormiva era amore, e che chi dorme si sveglia. Pur, sia come si sia! a che ci hanno le doti? a che gli spiantati?
Così, cacciato con un sospiro di gusto quel tàfano della sorella, Leopoldo intese la imaginazione tutta alla vaghìssima incògnita. E ricompose gli occhioni di lei, neri; e il fiume de' suoi neri capelli, e il viso "color di amore e pietà" di un sùbito pinto a vergogna, com'ella si accorse di lui, e sparve...
Vòlta e rivòlta, sentì sonare le quattro.
II.
E, nella mattina, venne a trovarlo il signor Camoletti, procurator suo in patria. Era egli una miseria di uomo, dal viso color formaggio-di-Olanda, con due occhiucci nerìssimi, da faìna; neri, i capelli cimati; nero, un pizzo da capra; nera, la cravattona (e non un sìntomo di una camicia); nero, il vestito impiccato e le brache; sì che parea ch'e' uscisse da un calamajo in quel punto e gottasse l'inchiostro. Il corpicciolo di lui, inquieto, le palpignenti palpèbre, le mani che non requiàvano mai, dicèvano chiaro il caràttere suo, rabattino e margniffo. Quando parlava, colui che avèssene udita solamente la voce, dovea pensare "oh pappagallo d'ingegno!" Ed era, quattro-parole-un-complimento-e-un-inchino.
Il quale ometto dei ceci, dopo di èssere andato in dilèguo sul ritorno felice e sulla bella presenza di Leopoldo, disse della fortuna di avere, il dì prima, ricevuto un biglietto "proprio del signor conte" (e quì un saluto di capo); ma aggiunse della disgrazia di non averlo potuto lègger che a sera.
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Leopoldo Camoletti Leopoldo
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