L'omiopatėa lė non serviva. Leopoldo avea bel circondarsi di affari, bel imbrogliarli, bel stare fuori giorno su giorno pe' suoi latifondi, ma nello specchio del capo apparėvagli sempre quella pāllida faccia contro la quale parea battesse continuamente la luna; avea bel vilupparsi in filosōfiche dissertazioni intorno all'equanimitā, e al modo di annichilir le passioni, cioč di vėvere morti, studiāndone anche a memoria i concettini ingegnosi e le elegantėssime frasi, ma tutta 'sta roba, scritta in pacėfici studi verso cortile, al sovvenire di una occhiata di lei, languidėssima, nera, sprofondāvasi gių.
Venėvano allora i furori. E allora e' fuggiva a serrarsi nella cāmera sua e ne appiccava la chiave sotto il ritratto materno. Facea le volte di un leone affamato. Pigliāvalo uno struggimento di abbracciare colei, di schioccare dei baci... che dico! di mōrderla, di pugnalarla. Ma, inorridito a un tratto di sč, si gettava sul letto, sospirava d'angoscia, e mirava con il desėo negli occhi le sue pistole. Oh, a non toccarle, ci volea bene coraggio!
Ma e fuggire da lei?
Pazzėe! ei si sentiva legato con doppia catena. Avesse amato soltanto, non era impossėbile... forse; ma, nell'amare, egli odiava; ed una goccia di odio fā un sentimento eterno.
Per quante fitte crudeli, per quante torture ciō gli costasse, egli or pių non poteva fare di meno di que' terrėbili istanti, nei quali era presso a colei, anzi, črale al fianco; quando, in una sentiva e le vampe amorose e i brėvidi dell'orrore ed i sobbalzi della disperazione; tutto, sotto una māschera calma, solo tradendo la irrompente passione al spesseggiare convulso del nome, il pių sereno, il pių dolce "sorella".
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