Sonàrono passi ad un estremo della contrada; un uomo vi s'avanzava, canterellando. Ma di botto, azzittì... Perchè?
Avea scorto nell'ombra la siloètta di Alberto e udito il ringhio del cane. E, lor passando nel mezzo, la gelata paura gli dovette gocciare, e, passato, far la restante contrada sotto lo spago che il raggiungesse una palla. Vôlto il cantone, dièdela a gambe.
E, quando Alberto si dipartì dal suo sedile di pietra, ne levò seco il freddo. Di bella prima, ei si diresse al cuore della città, ma poi, cambiando consiglio, rifece il cammino verso il perduto quartiere, dove piegò e tenne per una via a cenciosi tuguri in su 'n lato, che si serràvano l'uno contro dell'altro, tanto per sostenersi, mentre loro di fronte correva una roggia, negra, profonda e tentatrice; indi, arrivò ad una antica chiesola.
Era essa di quelle, per così dire, di getto; non già un'accolta di mattoni e di pietre foggiati a uno stile. Era di quelle, che non potèvano uscire se non da una mente di artista, dalla certezza infiammata di averne il cielo a compenso, in quella età in cui si poteva èssere artisti, e null'altro; quando la fede, effetto dell'ignoranza, teneva luogo di scienza. E la roccia degli anni, che è il culottement delle fàbriche, fomentava or da lei quel rispetto che in gioventù nascea ai passanti spontàneo.
Se ne apriva la porta. Alberto entrò e siedette in un banco.
E di là vide il chiaro di luna, che si frangeva nelle finestre ogivali, fòndersi in quello dell'alba; e di là udì scoccare cìnque ore, poi un pressoso scampanellìo.
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Alberto Alberto
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