E Alberto, adocchiando lo specchio, pensò, che, presentàtosi a lei, perderebbe ad un tratto quel fil sottile di amore, che con sì grande fatica avea giunto, e dopo tanto desìo.
In quella, entra Enrico.
Siamo pronti? fà: poi, osservando come non si era: Tò, l'avrei detto!
Va tu dice Alberto con un far desolato io mi sento a traverso.
Oh diàvolo! cosa?
Male, malìssimo.
Vero? dimandò Enrico a Paolino, il quale sopragiungeva con un sopràbito in mano.
Pure notò il servitore il signorino ha mangiato con molto appetito a tàvola. Signorino! aggiunse ho quì il sopràbito nuovo. Vuole provarlo?
È elegantìssimo, ve'? disse Enrico, ammiràndone il taglio.
Alberto di malincuore il provò.
Va di pittura! esclamò Enrico.
Come stà bene! ribadì Paolino.
E non èran bugìe. E il nostro amico sorrise.
Dùnque; andiamo! disse Fiorelli ho da basso il mio brougham.
Sì; ma così... così non vestito
Ben si vedeva che Alberto non rampinava che per onor della firma; fece un po' ancora le smorfie, ma si abbigliò. E, per buon tratto di strada, tènnesi zitto, impalato. Influiva allora su lui l'àmido e la mantèca; il mondo esterno cioè. Tuttavìa, allo svolto della contrada Moresca, il mondo interno ripigliò il sopravvento. E Alberto disse allora ad Enrico:
O caro te, mi sento male davvero. Non vengo
Enrico die' in un'allegra ridata; poi:
Èccoci al tuo sacchetto di pulci. Credevo proprio, che, almeno 'stavolta, lo avessi scordato a casa. Capricciosìssimo! Ma non la vinci! sai. Vieni o io ti porto in ispalla
Il nostro amico si rannicchiò sul fondo del brougham.
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