Nel campo puramente militare vi fu un ritardo nella comprensione esatta delle nuove necessità della guerra il che produsse una serie di offensive a risultato incerto, che, consumando i mezzi non appena se ne era raccolta una certa quantità, allontanarono, nel tempo, la costituzione di quella preponderanza di forze necessaria ad ottenere la decisa rottura d'equilibrio che solo poteva dare la vittoria.
L'opera di distruzione compiuta dalla grande guerra fu immensa, ma i popoli vi resistettero perché fu diffusa nel tempo sì che poterono, per lungo tempo, riparare alle perdite materiali e morali che vennero successivamente a subire, ed ebbero così agio di gettare, nel grande campo della lotta, tutte le loro risorse fino all'ultima. Non vi fu mai il colpo mortale, la ferita ampia e profonda, dalla quale il sangue sgorga a fiotti, irrefrenabile e dà la sensazione della morte imminente. Furono ferite reiterate ma relativamente leggere, che avevano il tempo di rimarginare, le quali, benché lasciassero i corpi sempre più anemizzati, permettevano ancora di conservare la speranza di vivere e di rimettersi in grado di dare all'avversario, anemizzato, l'ultimo colpo decisivo, l'ultimo colpo di spillo capace di sottrargli l'ultima goccia di sangue. Di fatto la decisione finale venne determinata da battaglie meno sanguinose di altre battaglie che, nel corso della guerra, ebbero risultati molto relativi. Certo la metà delle distruzioni prodotte dalla grande guerra sarebbe stata sufficiente, se si fossero verificate in tre mesi; il quarto, se si fossero verificate in otto giorni.
| |
|