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      Supponiamo, per fissare le idee, che questi obbiettivi siano venti. Per difenderci da ciò che può fare la forza X, noi siamo costretti a dislocare, nella prossimità di ognuno di questi venti possibili obbiettivi, una forza difensiva corrispondente.
      Impiegando aerei a difesa, presso ognuno di questi venti obbiettivi, noi dobbiamo dislocare una forza aerea capace di vincere la forza aerea X, al minimo quindi uguale ad X. Cioè, a noi, per difenderci, occorre, al minimo, venti volte la forza aerea di cui il nemico dispone per attaccare: conclusione che ha dell'assurdo, dipendente dal fatto che l'aereo non si presta a scopo difensivo, essendo un'arma eminentemente offensiva.
      Nella passata guerra, l'improvviso apparire del nuovo mezzo, non permise di orientare perfettamente le idee, ed all'offesa aerea si tentò, istintivamente ed empiricamente, di contrapporre una difesa contraerea, sia agendo nell'aria, sia agendo da terra; nacquero così le artiglierie contraeree, le squadriglie da difesa e quelle da caccia.
      Ma l'esperienza dimostrò che tutti questi mezzi erano incapaci di adempiere realmente alle loro missioni, non ostante che le offensive aeree, che vennero svolte durante la passata guerra fossero di minima importanza, slegate e condotte senza un chiaro e preciso concetto direttivo.
      Tutte le volte che una offensiva aerea fu condotta risolutamente raggiunse il suo scopo: Venezia venne colpita dal principio alla fine della guerra, Treviso venne quasi distrutta sotto i nostri occhi, Padova dovette venire abbandonata dal Comando supremo.


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Il dominio dell'aria
di Giulio Douhet
De Alberti
1927 pagine 207

   





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