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      Fuori d'Italia, presso alleati e nemici, avvenne lo stesso.
      Non ostante i più complessi servizi di segnalazione, quando giungeva il nemico, le squadriglie di difesa, se non erano in aria - né potevano rimanere sempre in aria - difficilmente giungevano a sollevarsi in tempo: l'artiglieria sparava ma non colpiva che per combinazione, come si può anche colpire per combinazione una rondine sparando con un fucile a palla: l'autoartiglieria contraerea inseguiva, correndo per le strade, i velivoli liberamente scorazzanti per il cielo, agendo quasi come chi, in bicicletta, tentasse di raggiungere un colombo viaggiatore in volo; i proiettili dell'artiglieria, nel tratto discendente delle traiettorie si trasformavano in proiettili cadenti dall'alto, ed il tutto si traduceva in un vano sperpero di una quantità enorme di mezzi e di risorse, talvolta semplicemente in vista di un attacco possibile.
      Quanti cannoni rimasero per mesi e mesi, per anni, colle bocche spalancate verso il cielo, nella snervante attesa di un nemico che avrebbe potuto venire? Quanti aerei da difesa consumarono uomini e materiali senza mai avere neppure l'occasione di tentare una difesa? Quanta gente, dopo avere lungamente guardato invano verso il cielo, dormì saporitamente?
      Non so se si sia mai fatta la somma di tutti i mezzi e di tutte le risorse che vennero impiegate nella difesa contraerea disseminata sulla superficie del nostro territorio, ma è certo che l'insieme di tali mezzi e di tali risorse fu rilevante, riuscì vano, ed i mezzi di ogni genere così disseminati, molto proficuamente, avrebbero potuto altrimenti utilizzarsi.


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Il dominio dell'aria
di Giulio Douhet
De Alberti
1927 pagine 207

   





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