I tecnici d'aviazione non dovrebbero rispondere che delle qualità aeronautiche dell'apparecchio, sulle quali solo essi sono competenti, non mai essere abilitati a giudicare delle qualità di impiego, sulle quali non lo possono essere.
Potrebbe darsi che per determinati servizi l'Esercito richiedesse apparecchi possedenti requisiti non ancora concretati, requisiti, dirò così, desiderabili. In questo caso, starebbe ai tecnici di aviazione di studiare il modo di rispondere ai requisiti desiderabili. Ciò fornirebbe alla tecnica un indirizzo ai suoi studi, evitandole di divagare nella concretazione di apparecchi, all'atto pratico, inutilizzabili.
Per non chiedere dagli apparecchi requisiti di impiego assurdi - ad esempio, che l'apparecchio si fermi nell'aria - è sufficiente possedere, sull'argomento, quelle nozioni di carattere generale che costituiscono il comune patrimonio di coltura; ed è certo che, quando a chi è destinato a impiegare l'aviazione fosse devoluta la responsabilità della sua scelta, la coltura aeronautica non tarderebbe a divenire comune.
In definitiva, i tecnici d'aviazione non dovrebbero provvedere se non apparecchi che volino bene, nella misura e nella qualità che loro venisse richiesta, ed a fornire al personale l'istruzione prettamente aviatoria per la condotta e l'uso degli apparecchi. In questo modo ognuno rimarrebbe nella propria competenza ed assumerebbe la piena responsabilità dei suoi atti, e si eviterebbe qualsiasi dannosa interferenza.
Avendo dichiarato che l'organizzazione dell'Aviazione ausiliaria dell'Esercito è di competenza dell'Ente che presiede alla organizzazione dell'Esercito, non entrerò assolutamente nel merito di essa: dirò solo, e per evitare una obbiezione di carattere prematuro, che, come avrò agio di dimostrare, il fatto di assegnare all'Esercito la sua aviazione ausiliaria non implica affatto una moltiplicazione di organi.
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