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      In attesa della notte si diede opera a sollevare e curare i feriti.
      Era tanto il terrore del nemico per l'eroismo dei legionari, che i suoi capi non riuscirono a condurlo ad un secondo attacco.
      Infine venne la desiderata oscurità.
      Ad un miglio circa dal luogo del combattimento eravi il bosco che costeggia l'Uraguay, porto di salvezza, che l'ignoranza del nemico aveva lasciato aperto.
      In gran silenzio si formò una piccola colonna - così dice Garibaldi - i feriti atti a camminare, furono posti nel mezzo, caricati sulle spalle!... Ad un dato segnale si partì compatti, a passo accelerato, decisi a tutto; si prese la direzione del bosco passando silenziosi avanti al nemico, che stupefatto, del nostro ardire ci lasciò libero il varco, e prima che si fosse riavuto o fosse stato in grado di seguirci noi avevamo raggiunto il bosco - porto tanto necessario e desiderato.
      Nessuno si sbandò - ubbidienti all'ordine, tutti si gettarono a terra, distesi in una lunga catena, in attesa del nemico che non si fece attendere molto. Il suono delle sue trombe ci avvisò del suo avvicinarsi, e poco stante comparvero i suoi squadroni, che noi, silenziosi e nascosti, attendemmo fino alla distanza di venti passi per salutarli con una salva che li colpì nel più fitto, e riuscì micidiale, tanto da metterli in scompiglio e deciderli a dar volta a briglia sciolta!
      Soddisfatto il bisogno il più sentito, quello della sete, riprendemmo la ritirata verso il Salto. A poca distanza dal paese incontrammo il bravo Anzani, tenente colonnello Comandante la legione italiana, che ci era venuto incontro per abbracciarci.


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Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900
di Augusto Elia
Tipogr. del Genio Civile
1904 pagine 508

   





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