Si recò a Genova, sperando di trovarvi aiuto di denaro, di armi, e di armati; ma la sua fu una disillusione; non vi trovò nulla di quanto sperava! Però appunto in quei giorni, una deputazione di siciliani si presentava in Genova a Garibaldi, invitandolo a formare una spedizione di soccorso alla Sicilia.
Ferdinando II di Napoli aveva tradita e assassinata la promessa libertà e mandato un poderoso esercito a sottomettere la Sicilia, la quale priva di armi, di milizie e di capitani, nonostante la gagliarda difesa di Messina stava per soccombere.
Garibaldi, senza prendere impegno assoluto, promise, se gli fosse stato possibile di portare ai siciliani l'aiuto richiesto. Infatti, raccolti circa cinquecento della sua vecchia Legione di Lombardia lanciava agli italiani il seguente proclama:
Italiani!
Il nido della tirannide, al quale mettevano capo tutte le vili iniquità cortigiane, è rovesciato. Vienna combatte per la loro libertà. Non combattiamo noi per la nostra? Non udite venire, o italiani, un fremito dalla Lombardia e dalla Venezia? Il popolo che(13) surse di marzo, sebbene coperto di ferite, non è morto, ma vive; carica il fucile e aspetta il cenno.
All'armi, dunque o italiani; noi siamo alla vigilia dell'ultima guerra, non lenta, non fiacca, ma rapida, implacata. Levatevi forti dei vostri diritti calpestati, del vostro nome schernito, del sangue che(14) avete sparso: levatevi in nome dei martiri invendicati, della libertà conculcata e della patria saccheggiata, vituperata dallo straniero; forti come uomini parati a morire!
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