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      Questi fatti mostrarono abbastanza che il principato papale nè voleva, nè poteva modificare se stesso, e non restava, che subirlo o distruggerlo. Venne distrutto.
      La liberalità di regnanti o tolleranza di popoli avevano posto il papato nella città degli Scipioni e dei Cesari, invece che nel mezzo della Francia, o sulle rive del Danubio e del Tamigi; doveva esser per questo, che gl'Italiani perdessero i diritti comuni a tutti i popoli, la libertà e la patria? E se fosse pur vero, che alla potestà spirituale del pontificato sia necessario il possesso d'una sovranità temporale, quantunque non a questa condizione fosse promessa da Gesù Cristo l'immortalità della sua Chiesa, era dunque serbato a Roma il divenire il patrimonio del papato e divenirlo per sempre? Roma, patrimonio di una sovranità, che per sussistere aveva bisogno di opprimere, e per essere gloriosa aveva necessità di perire? e come patrimonio del papato farsi cagione permanente della ruina d'Italia? Roma, di cui le tradizioni, il nome e fin le ruine parlano sì forte di libertà e di patria?....
     
      E il popolo rispose e risponde: No! - Roma è mia! Roma è della libertà!
     
      Pagato a Roma il debito politico Garibaldi ritornò a Rieti a riprendere il suo posto militare.
      Nel frattempo gli avvenimenti avevano fatto il loro corso.
      Il 22 marzo la catastrofe di Novara; il 27 la risposta dell'Assemblea Veneta all'Haynau: "Venezia resisterà ad ogni costo"; il 28 l'insensata rivolta di Genova; il 1° aprile l'ultimo giorno della decade Bresciana.


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Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900
di Augusto Elia
Tipogr. del Genio Civile
1904 pagine 508

   





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