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      Il forte desto dall'allarme, diede fuoco a tutte le sue batterie, tempestò di palle il terreno circostante, comunicò l'allarme ai Vapori, che, accortisi delle barche condotte dal Bixio e dal Simonetta, le presero a bordate mettendo ben presto lo spavento nella ciurma inesperta, che si sgominava, e nonostante le preghiere, le minacce degli intrepidi condottieri voltavano precipitosamente le prue.
      Potevano essere le due dopo mezzanotte, e Garibaldi visto fallito il tentativo, ordinava la ritirata su Cittiglio, colà si ricongiungeva in buon ordine ai corpi che aveva lasciato a Brenta ed a Gemonio, con intendimento di ritornare a Varese.
      Però la mattina del 31 maggio si ebbero non liete novelle. Il generale Urban marciava minaccioso e ringagliardito su Varese; sicchè Garibaldi dovette prudentemente mutar pensiero, e risalire la via di Valcuvia, dove poteva, protetto dai monti, attendere gli eventi.
      Ma era difatti la giornata del 31 al tramonto, che Urban compariva con due colonne da Tradate e da Gallarate sulle alture di Giubiano e di San Pedrino dominanti Varese, e vi si accampava militarmente. Conduceva dodicimila uomini e diciotto pezzi d'artiglieria; sbuffava fuoco e fiamme, annunziava alla città ribelle strage e rovina, la multava dell'enorme tributo di tre milioni, oltre grande quantità di provvisioni, prendeva ostaggi numerosi, li minacciava ad ogni istante di morte, e non vedendo subito soddisfatte le sue insensate pretese, apriva contro di essa un furibondo bombardamento abbandonandola poi per più ore al saccheggio.


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Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900
di Augusto Elia
Tipogr. del Genio Civile
1904 pagine 508

   





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