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      Garibaldi dovette affacciarsi e parlare al popolo: disse essere pieno di speranze nell'avvenire della patria; avere fiducia intera nel Re galantuomo e molto confidare nel forte carattere del popolo subalpino; concludendo che egli non avrebbe deposta la spada finchè l'Italia non fosse interamente unita e libera.
      Ma la dimostrazione del 2 gennaio organizzata dagli studenti universitari fu anche più imponente. Garibaldi fu costretto a parlare dal balcone dell'Albergo: disse di andare superbo di quella dimostrazione che lo assicurava dello amore della gioventù per l'Italia, pronta a liberarla dal fango nel quale le potenze straniere volevano cacciarla; concludendo così: "Ho chiesto un milione di fucili - ed oggi vi dico che bisogna formare la Nazione armata per essere padroni dei destini della patria nostra".
      Questo discorso elettrizzò la gioventù ma ebbe un grave contraccolpo(68); poichè il giorno appresso tutto il corpo diplomatico protestava presso S. M. il Re contro le parole pronunziate da Garibaldi; e il Ministro fu obbligato a dare le dimissioni, e il generale Garibaldi fece pubblicare dalla Gazzetta del Popolo la seguente sua lettera:
     
      Agli Italiani,
     
      Chiamato da alcuni miei amici ad assumere la parte di conciliatore fra le frazioni del partito liberale italiano, fui invitato ad accettare la presidenza d'una società che si sarebbe chiamata
      La Nazione Armata".
      Credetti potere essere utile; mi piacque la grandezza del concetto ed accettai.
      Ma siccome la Nazione Italiana armata è tal fatto che spaventa quanto c'è di sleale e prepotente tanto dentro che fuori d'Italia, la folla dei moderni gesuiti si è spaventata ed ha gridato; Anatema!


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Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900
di Augusto Elia
Tipogr. del Genio Civile
1904 pagine 508

   





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