Eccola:
Genova, 5 maggio 1860
Mio caro Bertani,
Spinto nuovamente sulla scena degli avvenimenti patrii, io lascio a voi il seguente incarico.
Raccogliere quanti mezzi sono possibili per coadiuvarci nella nostra impresa.
Procurare di far capire agli Italiani, che se saremo aiutati devotamente, sarà fatta l'Italia in poco tempo e con poca spesa; ma che non avranno fatto il dovere, quando si limiteranno a qualche sterile sottoscrizione.
Che l'Italia libera, d'oggi in luogo di 20,000 soldati deve armarne 500,000, numero non certamente sproporzionato alla popolazione, poichè tale proporzione di soldati l'hanno gli Stati vicini, che non hanno indipendenza da conquistare,
Con tale esercito l'Italia non avrà più bisogno di padroni stranieri, che se la mangiano a poco a poco col pretesto di liberarla.
Che ovunque sono italiani che combattono oppressori, fa bisogno spingere gli animosi e provvederli del necessario per il viaggio.
Che l'insurrezione siciliana non solo in Sicilia bisogna aiutare, ma dovunque sono nemici da combattere.
Io non consigliai il moto della Sicilia, ma venuti alle mani quei fratelli nostri, io ho creduto obbligo di aiutarli.
Il nostro grido di guerra sarà Italia e Vittorio Emanuele e spero, che anche questa volta, la bandiera italiana non riceverà sfregio.
Vostro con affettoG. Garibaldi"
Altra lettera aveva già diretta il giorno innanzi al Re Vittorio Emanuele:
Genova, 4 maggio 1860
Sire,
Il grido d'affanno, che dalla Sicilia arrivò alle mie orecchie ha commosso il mio cuore e quello di alcune centinaia dei miei vecchi compagni d'armi.
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