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      Quando, i nemici cominciarono a ritirarsi, protetti dai loro cacciatori, rividi il generale che li guardava e gioiva.
      Gli inseguimmo un tratto; disparvero. Dal campo stemmo a vedere la lunga colonna salire a Calatafimi, grigia lassł a mezza costa del monte grigio, e perdersi nella cittą. Ci pareva miracolo aver vinto.
      O gran giorno, o immortali quelle tre ore del combattimento! Ma se fosse stato perduto? Si accapriccia il cuore, immaginando Garibaldi vinto, i suoi a squadre, a gruppi, rotti, messi in caccia, uccisi per tutta quella terra da Calatafimi a Salemi, lontano, lontano; gli ultimi ad uno ad uno, chi qua chi lą, scannati come fiere, fin sulle rive del mare; e la testa del generale mandata a Napoli; che la potesse vedere e finire di tremare quel Re! Si raccapriccia. E forse l'Italia non si sarebbe fatta mai pił.
      Felici allora, ben felici i morti combattendo, che almeno non avrebbero visto la grande tragedia.
      Ma per fortuna d'Italia la vittoria fu nostra
      .
      Sgominato il nemico, conquistata Calatafimi, chiave della posizione, ormai si era padroni delle tre vie conducenti a Trapani, a Castellammare, a Palermo. Ulteriore resistenza non era pel momento da prevedersi, ed inutile era anche l'inseguimento da parte dei garibaldini, perchč ad infastidire i fuggiaschi vi avrebbero pensato i bravi insorti siciliani.
      Garibaldi pensņ di dare un po' di riposo ai suoi, e volle che si passasse la notte sul conquistato campo di battaglia.
      Le perdite nostre furono gravi rispetto al numero esiguo che rendeva prezioso ogni individuo; bisognava quindi aver cura dei feriti.


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Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900
di Augusto Elia
Tipogr. del Genio Civile
1904 pagine 508

   





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