Grazie al senno dei popoli dell'Italia Centrale, l'idea monarchica fu in modo costante affermata, e la Monarchia moderò moralmente quel pacifico moto popolare. Così l'Italia crebbe nella estimazione delle genti civili, e fu manifesto all'Europa come gl'italiani siano acconci a governare sè stessi.
Accettando la annessione io sapeva a quali difficoltà europee andassi incontro. Ma io non potevo mancare. Chi in Europa mi taccia d'imprudenza, giudichi con animo riposato, che cosa sarebbe diventata, che cosa diventerebbe l'Italia, il giorno nel quale la Monarchia apparisse impotente a soddisfare il bisogno della costituzione nazionale!
Per le annessioni, il moto nazionale se non mutò nella sostanza, pigliò forme nuove; accettando dal diritto popolare quelle belle e nobili provincie, io doveva lealmente riconoscere l'applicazione di quel principio, nè mi era lecito di misurarlo colla norma dei miei affetti ed interessi particolari. In suffragio di quel principio, io feci per utilità dell'Italia, il sacrificio che più costava al mio cuore, rinunziando a due nobilissime provincie del Regno avito.
Ai Principi italiani che han voluto essere miei nemici, ho sempre dati schietti consigli, risoluto, se vani fossero, ad incontrare il pericolo che l'accecamento loro avrebbe fatto correre ai troni, e ad accettare la volontà dell'Italia.
Al Granduca io aveva indarno offerta la alleanza prima della guerra. Al Sommo Pontefice, nel quale venero il Capo della Religione dei miei avi e dei miei popoli, fatta la pace, indarno scrissi offerendo di assumere il Vicariato per l'Umbria e per le Marche.
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