Finalmente il 14 marzo 1865 si aprivano le porte del Castello di Vinadio, ed il Bennici ed altri compagni che vi erano stati tradotti, venivano posti in libertą.
Primo pensiero dei liberati fu quello di dirigersi al camposanto e formato circolo sul luogo che racchiudeva le ossa di alcuni loro compagni di sventura, il pił anziano tra i graduati, dinnanzi alle autoritą civili e militari, pronunziava un discorso funebre, che concludeva con queste commoventi e nobili parole.
E lassł sono i nostri compagni d'armi caduti in Aspromonte, e lassł gli altri trapassati, sopraffatti dai dolori; e di lassł ci mirano le anime dei nostri undici compagni che lasciarono il loro misero corpo in questo tenebroso recinto, ed esultano nel ricevere questo tributo d'affetto; e lassł faranno voti, che ognora il nostro cammino sia quello dell'onore e della gloria.
E noi, forti sotto l'usbergo della nostra pura coscienza, osiamo gridare arditamente a' quattro angoli d'Italia, che dall'Esercito che ha saputo vincere a S. Martino, a Castelfidardo, a Calatafimi e sulle barricate di Palermo, non escono e non usciranno giammai traditori. Pronti a chinare il capo ad una espiazione militare, sdegnosamente protestiamo, contro qualunque accusa infamante, per chi col vessillo tricolore alla liberazione di Roma con Garibaldi, marciava. Si! per Roma solo andavamo; per Roma abbiamo sofferto, e per Roma questi undici nostri compagni sono morti! Quando nel tempio di Marsala il duce dei Mille giurava Roma o morte, non era per ribellarsi contro il principe eletto da liberi plebisciti.
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