Intanto questi non solo si erano resi padroni di Bezzecca, ma, sbucati fuori dal villaggio, avevano coronate le alture della loro artiglieria e si preparavano ad un formidabile attacco contro l'estrema linea garibaldina.
Il pericolo era gravissimo, la strada di Tiarno era tempestata dal nemico e Garibaldi stesso veniva fatto bersaglio ai loro colpi. Le palle guizzavano, rimbalzavano e ravvolgevano in un nembo di polvere la sua carrozza; uno dei cavalli era ferito a morte, una delle guide che la scortava (Giannini) cadde morta, altre hanno feriti i cavalli; i suoi aiutanti volevano strapparlo da quel posto mortale e salvare lui, se non è possibile vincere. Ma Garibaldi aveva sul volto la calma di Calatafimi! "Qui si vince o si muore" e comandava, incoraggiava, spediva ordini, secondato dagli ufficiali del suo quartiere generale, sopratutto da Canzio, dal Miceli, dallo Stagnetti, dal Damiani e dalle guide tra le quali l'Amadei che in tutta quella giornata si era moltiplicato per trovarsi sempre presente dove maggiore era il pericolo; i carabinieri genovesi condotti dal Mosto, sempre primo nei replicati attacchi, seguito dai suoi valorosi Burlando, Stallo, senza cessare di combattere, facevano cerchio attorno al generale per coprirlo dalla furiosa pioggia di proietti che tempestava la posizione.
Intanto il maggiore Dogliotti aveva mandato ordine che si portassero sul posto la batteria di riserva e gli altri pezzi che si erano dovuti ritirare; appena arrivati il generale ordina che al galoppo vadano a piazzarsi su una posizione che esso stesso indica, ed il maggiore eseguisce l'ordine; in un baleno i cannoni sono a posto ed aprono il fuoco convergente su Bezzecca.
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