Il Re quindi rispondeva, ringraziando l'Imperatore dei Francesi dell'interesse che prendeva per l'Italia; ma che trattandosi di affare tanto grave doveva consultare il suo governo e il suo alleato al quale era stretto da un trattato.
Intanto il generale Cialdini domandava se poteva invadere senza perdita di tempo il territorio veneto e gittarsi nella provincia di Rovigo.
Il generale La Marmora(126) rispondeva al Cialdini invitandolo ad operare, giacchè egli diceva "per me il peggio sarebbe ricevere la Venezia senza avervi messo piede".
E il generale Cialdini confermava che il 7 di sera avrebbe gettati i ponti e passato il Po.
Per questi fatti l'imperatore Napoleone era adiratissimo, e ci fu poco che la Città regina dell'Adriatico non vedesse sventolare sul campanile di S. Marco e sui forti della sua laguna la bandiera napoleonica ed a suo presidio le truppe francesi.
Per scrupolo di lealtà il barone Ricasoli d'accordo con S. M. il Re e col generale La Marmora(127) si opponeva alla firma dell'armistizio senza averne prima ottenuto l'assenso del Re di Prussia alleato in quella campagna, e l'imperatore Napoleone aveva già ordinato che due navi da guerra con truppe da sbarco "La Provence" e "L'Eclaireur" partissero per Venezia con ordini suggellati.
Ubaldino Peruzzi, visto che al conte Nigra nostro ambasciatore a Parigi non era riuscito di parare il grave colpo, consigliò a Ricasoli di mandare a Parigi il Diamilla Muller conosciuto fin da giovinetto da Luigi Napoleone quando era principe, e che aveva elevate amicizie a Parigi fra le quali quelle di Alcide Grandguillot direttore del giornale officioso "Costitutional" e del generale De Fleury, perchè vedesse di scongiurare questo affronto all'Italia.
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