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      Il Re era recisamente avverso a farsi aprire la vena: ma il professore Baccelli disse risolutamente:
      - "Maestà, la nostra responsabilità innanzi a Voi e al paese, è troppo grande, perchè noi si faccia uso di tutti i nostri diritti. Vostra Maestà sarà Re finchè vuole; ma in questo momento i re siamo noi e Vostra Maestà è nostro suddito".
      Vittorio Emanuele sorrise, sporse il braccio e si prestò al salasso; dopo del quale si sentì(154) un po'(155) meglio.
      Il quinto giorno della malattia si sperava in una crisi benefica. Da Firenze venne chiamato il professore Cipriani, da Pisa il professore Landi, ma la crisi benefica non venne!
      Nella mattina del giorno 9 i medici avvertirono un forte peggioramento. Gli ufficiali di servizio furono mandati ad avvisare i principi reali, i ministri e i grandi dignitari della Corte.
      Il professore Bruno ebbe incarico di chiedere al Re, se era disposto a ricevere i conforti della religione.
      Il Re calmo, si volse al medico e gli disse:
      - "Ma dunque la malattia è(156) ben grave?
      Il dottore riprese che si trattava di una precauzione - e il Re replicò, "Facciano pure".
      Il Re prese il viatico con grande serenità di spirito e disse:
      - "Io speravo di morire sul campo di battaglia: ma pazienza! - Muoio almeno in questa Roma, in mezzo al mio popolo".
      Dopo il Viatico passarono avanti al Re, affranti dal dolore, i ministri e i dignitari e il Re li salutò tutti.
      Al figlio suo disse queste testuali parole:
      - "Mio Umberto - caro figlio mio - ti raccomando fortezza, amore alla patria e alla libertà".


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Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900
di Augusto Elia
Tipogr. del Genio Civile
1904 pagine 508

   





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